Il principio sta nella fine (per citare una Regina): è stupefacente come ai nostri giovani, in una società dai confini tanto porosi, manchi una educazione (relazionale e filosofica) all’Alterità: come se l’altro, il vicino/a di banco, esista, ma non sia visto. Eppure,
Per capire meglio se stessi bisogna comprendere meglio gli altri, confrontarsi e misurarsi con essi
affermava Ryszard Kapuscinki nel suo bel libro L’Altro edito da Feltrinelli. In realtà viviamo in una cultura relazionale sempre meno attenta ai bisogni “degli altri” e orientata, piuttosto, ad una rimozione del concetto stesso di “alterità” che io trovo estremamente pericolosa. A conferma di ciò, sempre più spesso vengo chiamata per lavorare, in Istituti Superiori, sui concetti di alterità ed empatia, la cui assenza genera sovente fenomeni latamente o patentemente aggressori sia nei rapporti fra coetanei sia nella relazione verso i docenti.
Stiamo di fatto assistendo, per ragioni di tipo sociale, ad una frammentazione della soggettività che induce, nei più giovani, una sorta di nietzschiano nichilismo (a mio avviso siamo lontani da “nichilismo attivo” trattato in un libro di Galimberti, La parola ai giovani) portatore, sostanzialmente, di una “malinconia del sé” che spesso si traduce in atteggiamenti suprematisti. Se da un lato la “volontà di potenza” è un elemento della costruzione della soggettività adolescenziale, è pur vero che, in una società dai confini liquidi come la nostra, le competenze educative debbono spendersi nella acculturazione di individui in grado di comprendere il proprio sé attraverso l’alterità. In tal senso i laboratori hanno 3 caratteristiche precipue:
- Workshop Taylor Made: tutti i laboratori vengono predisposti dopo monitoraggi e studio del “case” specifico
- Elicitazione degli stati emotivi e cultura dell’Alterità
- Riflessioni e Laboratori sul contatto empatico e coinvolgimento delle famiglie
Quali sono i risultati di questi incontri? Cosa accade in loro?
Una piccola rivoluzione copernincana. Accade qualcosa di singolare, e splendido. Osservano, si guardano, comprendono forse per la prima volta che chi hanno a fianco non è qualcuno dal quale debbono guardarsi o con il quale competere, ma qualcuno che ha qualità, pensieri, visioni che possono essergli d’aiuto, che possono arricchirlo o arricchirla… La scoperta dell’altro è, insomma, una piccola rivoluzione copernicana del sé.
Perché per vivere davvero, bisogna vivere con gli altri.